venerdì 13 ottobre 2017

GUARIRE L'ANIMA Tenzin Wangyal Rinpoche

Che cos’è l’anima?

Nel contesto della pratica Bön di recupero dell’anima,
l’anima (in tibetano “la”) viene vista come l’equilibrio
delle sottili energie dei cinque elementi e delle loro relative
qualità: terra, acqua, fuoco, aria e spazio. Gli antichi
insegnamenti tibetani ci dicono che nella vita tutto,
cioè tutto ciò che esiste nell’universo e ogni esperienza
che possiamo compiere, è costituito da questi cinque elementi.
Senza gli elementi esterni del suolo, dell’acqua,
dell’aria e del calore del sole non potremmo esistere, essere
sostenuti né ricevere nutrimento. Analogamente, la
nostra anima non può continuare a essere nutrita senza
l’essenza propria dei cinque elementi.
La nostra esperienza interiore delle qualità di questi
elementi comprende un senso di radicamento e di connessione
(terra), comfort e fluidità (acqua), gioia e ispirazione
(fuoco), flessibilità e movimento (aria), apertura
e accoglienza (spazio). Se uno o più di questi cinque elementi
naturali manca o è presente in noi in scarsa quantità,
la nostra anima ne è danneggiata. Si dice che quando
queste qualità entrano in equilibrio, la nostra anima viene guarita

 Nella pratica di recupero dell’anima ciò che recuperiamo
sono le qualità di questi elementi. Potreste
avere bisogno di recuperare anche solo una delle qualità
per portare tutte le altre in equilibrio.
Cause della perdita dell’anima
Secondo gli insegnamenti tradizionali tibetani, quando
si ha l’anima danneggiata diminuisce anche la forza vitale,
cioè la vitalità di cui si dispone. La perdita dell’anima
può portare alla debolezza fisica e alla malattia. Può colpire
emotivamente, energeticamente, psicologicamente e
spiritualmente. In casi estremi la perdita dell’anima può
portare alla morte. Lo squilibrio degli elementi collegato
alla perdita dell’anima è solitamente il risultato delle
inevitabili sfide che ci troviamo ad affrontare nella vita.
Le sfide potrebbero essere delle più varie, da un trauma
infantile non superato a uno shock improvviso, quale la
morte inaspettata di una persona cara. La perdita dell’anima
può avvenire anche gradualmente come risultato
di uno stress accumulato. Nazioni intere possono subire
collettivamente la perdita dell’anima a seguito di guerre
o disastri naturali.

Come si fa a capire di avere l’anima danneggiata o in
via di esaurimento?

 Spesso lo si sperimenta sotto forma
di un’insoddisfazione cronica e pervasiva. Potreste cercare
di distrarvi passando tanto tempo davanti alla televisione,
 navigando su Internet, mangiando o bevendo in
modo meccanico oppure dedicandovi a tutta una serie di
altri svaghi, pur continuando a sentire un’insoddisfazione
costante di fondo. Sebbene non riusciate a individuare
la causa, sapete di non essere felici.
Quando si prova un senso di esaurimento, può trattarsi
di un altro segnale della perdita dell’anima. Magari
vi state occupando di un genitore anziano mentre vi destreggiate
fra tutte le cose che la vita vi chiede. La vostra
intenzione è quella di essere compassionevoli e generosi
in tutti i modi possibili, ma vi sentite stressati e spossati.
Il problema non è la quantità di tempo che impiegate
aiutando gli altri, ma il fatto che state agendo trovandovi
in un punto di disconnessione. Quando siete in connessione
con il vostro naturale modo di essere, il dare agli
altri non implica alcuno stress né esaurimento mentale.
Proprio come un sorriso sincero, le nostre azioni sono
spontanee, prive di sforzo e gioiose. Donano energia tanto
a chi dà quanto a chi riceve.
Ma quando ci sentiamo disconnessi, vi è un senso di
mancanza, una sensazione di volere o avete bisogno di
qualcosa di più per se stessi. Ogni cosa può sembrare
sbagliata: il dove ci si trova, ciò che si sta facendo, le
persone con cui si è e il modo in cui ci si sente nel proprio
corpo. Potreste sentire un senso di solitudine o di
mancanza di fiducia in voi stessi, negli altri e nel vostro
mondo. La sensazione cronica di avere bisogno di qualcosa
di più diviene la vostra identità.

Quando la perdita dell’anima è grave, per esempio se
è associata a un trauma di maggiore entità, può manifestarsi
sotto forma di disturbo post-traumatico da stress.
Le persone che ne soffrono potrebbero avere dei ricorrenti
incubi, flashback o un’ansia disabilitante, oltre a
grosse difficoltà nell’affrontare la vita di tutti i giorni.
I reduci di guerra e le vittime di crimini violenti sono
alcune delle categorie di persone che potrebbero subire
questa grave perdita dell’anima. Questa problematica
potrebbe derivare anche da un evento traumatico come
l’avere assistito a un terribile incidente d’auto, l’avere
perso improvvisamente il lavoro o l’avere sofferto di un
attacco di cuore.

Il miglior rimedio

Il recupero dell’anima richiede un lavoro interiore.
Una reazione comune di fronte ai pensieri e alle sensazioni
negative è quella di spingerle lontano da sé o di
trovare modi per distrarsi. Ma quando si tenta di placare
i pensieri e le sensazioni, essi non fanno altro che
divenire più insistenti. C’è tanto di guadagnato nel notare
sensazioni difficili, ascoltarle e, in certe occasioni,
esprimerle.

Tuttavia, se si rimugina sui propri pensieri e sensazioni,
capita quasi sempre che un pensiero tiri l’altro,
rafforzando inevitabilmente il dolore. La mente che è
nel dolore non riesce a pensare a un modo per fuoriuscirne.
Come afferma un detto tradizionale tibetano,
non possiamo rimuovere il sangue dalle nostre mani
lavandole con altro sangue. La mente che tenta di pensare
a come sfuggire al dolore la chiamo “ego intelligente”.
Spesso è difficile riconoscere un ego intelligente
per ciò che è, dato che diamo continuamente a noi
stessi consigli che sembrano positivi, entusiasmanti e
orientati alla soluzione. L’ego intelligente può essere
un ospite abituale nelle nostre sessioni di meditazione,
mescolandosi ai nostri momenti di intuizione e autoproclamandosi
come saggezza. Ma questa cosiddetta
saggezza non è il frutto di una vera autoriflessione. È
un ostacolo alla vera saggezza e al riconoscimento della
natura della mente.

Un altro modo con cui proviamo a superare i nostri
problemi è affidarli alle pagine di un diario oppure condividerli
con un amico, consulente o terapeuta. Questo
può metterci maggiormente in contatto con emozioni
difficili, cosicché possiamo lavorare su di esse e liberarcene.
Nella guarigione vi è chiaramente posto per
la psicoterapia, ma mi chiedo se le persone parlino dei
loro problemi trovandosi nello spazio giusto. Molti passano
anni in terapia o in gruppi di supporto parlando e
riparlando degli stessi problemi, incapaci di trasformare
 la loro sofferenza perché mancano di una consapevolezza
più elevata.
Come possiamo avere accesso a una consapevolezza
più elevata? Prendendo quelle che io chiamo le tre
preziose pillole, che ci connettono con il nostro rifugio
interno: quiete, silenzio e spaziosità. Da questo spazio
sacro illimitato, se richiamiamo le nostre emozioni negative
o altre esperienze dolorose e le ospitiamo senza
giudicarle, criticarle, respingerle o afferrarle, diamo
inizio al processo di guarigione. Per ospitarle intendo
permettere al dolore di sorgere, restare e dissolversi liberamente.
Quest’esperienza equivale a quella di un generoso
anfitrione che permette agli ospiti di entrare così
come sono, trattenersi per tutto il tempo che desiderano,
andarsene quando sono pronti per farlo e persino ritornare.
Ospitando il dolore in questo modo gli consentiamo
di dissolversi completamente nello spazio sacro del
rifugio interno, che dà vita a una consapevolezza nuova
e creativa.
Ciò che differenzia queste pratiche di recupero dell’anima
dalla maggior parte delle forme di terapia è il fatto
che il lavoro principale inizia non appena il dolore si
placa. È frequente che le persone che riescono a superare
il dolore e il conflitto pensino “Ok, ora mi sono liberato
di questo problema. Che liberazione!”, per poi andare
alla ricerca del prossimo problema da risolvere. In questo
modo liberano uno spazio perché possa sorgere un altro
problema ed è proprio ciò che accadrà! Ma quando passiamo
 da un problema all’altro, non coltiviamo familiarità
con la presenza della consapevolezza di uno spazio
libero dal dolore. Questo spazio è la fonte delle qualità
che sono gli antidoti naturali contro il dolore. Quando,
attraverso la consapevolezza, ci connettiamo con questo
spazio, ne ricaviamo nutrimento.
A volte è meglio non pensare né parlare tanto. Questo
perché è solo quando possiamo stare pienamente con il
nostro dolore e ospitarlo nello spazio di quiete del corpo,
nel silenzio della parola e nella spaziosità della mente
che siamo in grado di connetterci con l’infinita consapevolezza
e calore da cui sorgono con naturalezza le qualità
guaritrici. È solo in questo spazio di apertura che le emozioni
nocive possono essere pienamente riconosciute e
lasciate andare, recuperando così l’anima. Quando l’anima
viene recuperata, garantiamo alla nostra felicità una
maggiore continuità.


ESTRATTO DAL LIBRO  GUARIRE L'ANIMA



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